sabato 1 giugno 2013

Il pacifismo è coerente col Cattolicesimo?

La pace lascio a voi, la pace mia do a voi; ve la do non in quel modo che la dà il mondo. Non si turbi il cuor vostro, né s’impaurisca. [Giovanni 14,27]

«Non in quel modo che la dà il mondo».
Purtroppo, da un po’, si è andata confondendo la Pace di Cristo colla pace terrena, e da tale confusione è nato uno pseudocristianesimo buonista, sentimentalista, costretto ad essere succube, vittima obbligata a non difendersi. Si è riuscito a far credere al cristiano che la difesa, la forza, siano da condannare a prescindere, e ch’egli sia tenuto quasi anche a cercare offese e mancanze di rispetto, ma assolutamente mai è autorizzato a reagire, ad alimentare un conflitto colla propria partecipazione attiva.
In tale contorta visione, il termine «cristiano» è diventato sinonimo di «pacifista». Il sommo impegno del cristiano, il suo obiettivo, ora, è la «pace», il «rispetto del prossimo», e tutto ciò altro non è se non una visione deformata della vera Carità cristiana.



«Non in quel modo che la dà il mondo»: è certamente qui la risposta che cerchiamo. Ma chiediamoci, prima… cos’è la pace del mondo? Cos’è questa «pace» a cui oggi anela affannosamente il «cristiano»?
Anzitutto scopriamo che la parola «pace», derivante dal latino, ha la stessa radice di pangere, che significa «fissare, pattuire», e di pactum, ossia «patto». Questa pace, dunque, è basata sul compromesso, sull’accordo. Pace è eliminare i contrasti, i conflitti; stabilire una condotta comune, un pensiero condivisibile e da condividersi da tutte le parti in gioco. Pace è piegare tutte le cose affinché possa reggere la quiete, affinché queste stesse possano stare insieme.
Il pacifismo [ch’evidentemente pone questo concetto di pace come proprio valore assoluto], di conseguenza, è esser pronti a sacrificare ogni cosa pur di evitare il conflitto, tutelare l’«armonia» fra le parti.

Alcuni esempi storici potranno aiutarci ad introdurre il discorso circa la differenza tra ’l pacifismo e la dottrina Cattolica.
  • Ponte Milvio.
Costantino vinse contro Massenzio, seguendo quanto insegnatogli in visione da Cristo —ossia combattere sotto il segno del Chi-rho—. Dopo questa vittoria il monogramma di Cristo fu impresso sugli stendardi di tutti gl’imperatori romani e bizantini, ed apparve sulle monete coniate da Costantino nel periodo 322-333.

  • Terra Santa.
      Le Crociate sono state ben «etichettate» come «pellegrinaggi armati». La motivazione per cui spesso non si riesce a capirle è perché oggi non si sente piú la Fede come bene da tutelare. All’epoca, i luoghi santi erano stati occupati dagl’infedeli ed i cristiani che vivevano o giungevano in quei posti erano in pericolo. Inoltre, i maomettani avevano dimostrato le loro intenzioni di conquista, invadendo ed assoggettando vasti territori cristiani.
      Senza perderci in lungo disquisire, facciamo parlare San Francesco, riportando la nota testimonianza di Frate Illuminato, che lo accompagnò durante la V crociata… «il Sultano sottopose a Francesco un’altra questione: "Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca: quanto piú voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre!". Rispose il beato Francesco: "Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altronce, infatti, è detto: ‘Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te’. E, con questo, Gesú ha voluto insegnarci che, anche se un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo,  a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla Fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla Religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare ed adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come sé stessi!».
  • Francia.
1429. Gl’inglesi furono sconfitti. Una giovane analfabeta, sostenuta unicamente dal Signore —che invocò per tutta la vita, anche in punto di morte— e dai Suoi Santi, liberò la Francia. La liberò dall’invasore, ma soprattutto dal pericolo d’essere infettata dall’eresia protestante.
La santità di Giovanna d’Arco fu proclamata nel 1920, da Papa Benedetto XV.

  • Belgrado.
XV secolo. San Giovanni da Capestrano, sempre fervido nelle battaglie —ch’affrontava colla sua bandiera o colla famosa croce—, per undici giorni ed undici notti, senza sosta, combatté i maomettani. I cristiani vinsero. Tutta l’Europa, all’epoca, unita a Sua Santità Callisto III, aveva pregato affinché ciò avvenisse. Perentorio l’avviso che il Santo rivolse, in battaglia, ai turchi: «Annunziate al vostro Gran Cane [il Sultano] che se non desiste dai suoi scellerati propositi, fra breve la mano del Signore sarà su di lui». Non vollero ascoltare; persero. Dio diede al Santo ciò che gli aveva promesso.

  • Lepanto.
XVI secolo. La Lega Santa —coalizione promossa da Papa Pio V—, sotto le sole insegne del Crocifisso tra i Santi Pietro e Paolo (sormontati dal motto In Hoc Signo Vinces, riferimento inequivocabile alla vittoria costantiniana) e della Madonna (colla scritta S. Maria succurre miseris), sconfigge in maniera schiacciante gli ottomani. Alle cannonate i cristiani risponderono anche —e diciamo, anzi, soprattutto— con invocazioni a Cristo ed a Maria. Garanzia inequivocabile che vi fu intervento sovrannaturale, il fatto (storicamente documentato) che il Santo Padre, il giorno stesso della battaglia, verso le cinque di sera, annunciò: «Andiamo a ringraziare Dio: la nostra armata è uscita vittoriosa». Solo ventitré giorni dopo la notizia giunse a Roma. Per ringraziare la Madonna, lo stesso Pontefice istituí la festa di Santa Maria della Vittoria (poi del SS. Rosario).

  • Vienna.
Verso la fine del XVII secolo, i turchi erano alle porte di Vienna. Papa Innocenzo XI, avvertita la necessità di dover riorganizzare le forze cristiane per opporsi all’imponente armata ottomana, incarica Marco d’Aviano —all’epoca famoso in tutt’Europa, compreso nelle corti, a motivo delle proprie virtú e del particolare carisma di predicatore— d’industriarsi a tal fine. In piú fasi, gli ottomani furono prima allontanati dalla città austriaca, poi cacciati dal continente. San Pio X avviò il processo di beatificazione pel d’Aviano.

  • Guerra di Vandea; Messico.
Pieni di Fede e devozione, forgiati dalla predicazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort, i vandeani reagirono alle infami azioni del potere rivoluzionario, proteggendo i Sacerdoti perseguitati ed offrendo la propria vita. Furono operate le peggiori crudeltà nei confronti di questo popolo e della loro terra, in quanto evidentemente la mirabile dignità e l’eroismo che i vandeani opposero al loro vomitevole potere, che non accettarono di riconoscere —restando sempre fedeli a Dio Re—, scatenò il delirio.
Similmente, all’inizio del XX secolo, si vide il popolo messicano reagire alla violentissima persecuzione che il governo Calles, acceso d’anticlericalismo, attuò nei confronti del Cattolicesimo. Alle uccisioni, ai divieti, alle crudeltà d’ogni genere, i cattolici resistettero fino al martirio.
Pio XI sottolinea l’affinità tra i due citati fatti storici; nell’enciclica Iniquis Afflictisque leggiamo: «Nel mese scorso, in occasione della beatificazione dei molti Martiri della rivoluzione francese, il Nostro pensiero volava spontaneamente ai cattolici messicani, che, come quelli, si mantengono fermi nel proposito di resistere pazientemente all'arbitrio ed alla prepotenza altrui, pur di non separarsi dall'unità della Chiesa e dall'Ubbidienza alla Sede Apostolica. Oh, veramente illustre gloria della divina Sposa di Cristo, che sempre nel corso dei secoli poté contare su una prole nobile e generosa, pronta per la santa libertà alla fede alla lotta, ai patimenti, alla morte!». 
Sotto l’infernale governo massonico, in Messico, bastava una Confessione per essere fucilati, ed i cattolici vollero ardentemente guadagnare questo premio.

  • In ultimo, una dovuta menzione va all’Esercito pontificio ed ai noti e cari Zuavi. Ricordiamo a mo’ d’emblema la Fede ed il coraggio che opposero alla viltà degli uomini che attaccavano la Sede di Pietro —sotto il comando di quei vergognosi che ancora oggi si osannano nella nostra triste Patria— durante quell’unità che fecesi non solo pelle ricchezze delle Due Sicilie, non solo pelle ambizioni temporali, bensí soprattutto in odio alla Sposa di Cristo.
Pio IX invocò su questi militi la benedizione del Signore: «Che Iddio benedica i miei figli fedeli!».

Abbiamo passato in rassegna, il piú sinteticamente possibile, i piú noti fatti storici che interessano la nostra questione. Come s’è visto, tutti «fatti di guerra» non certo osteggiati dal Vicario di Cristo, né dal Signore stesso, bensí supportati ed incoraggiati.
Perché ciò ci aiuta a trovare la nostra risposta? Perché il motivo di queste azioni fu sempre uno: difendere la Chiesa, difendere il Cattolicesimo, difendere ciò che il Signore ci aveva lasciato affinché noi potessimo conseguire la sua Pace, rimanere in tutto ciò.


Cos’è, dunque, la Pace cristiana? È certamente la sconfitta del peccato, ossia di ciò che ha introdotto la confusione, la mancanza di quiete, nella nostra anima. È certamente il recupero di quella Grazia che abbiamo perduta. È la beatitudine. È questo che ci dà il Signore: la Redenzione, la Vittoria.
Per ottenere la Pace cristiana, quindi, bisogna passare anche pella battaglia, interiore ed esteriore. In questo modo sono spiegate anche le parole del Cristo: «E chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, lo rinnegherò anch’Io dinanzi al Padre mio ch’è ne’ Cieli. Non pensate ch’Io sia venuto a metter pace sopra la Terra: non son venuto a metter pace, ma guerra. Imperocché son venuto a dividere il figlio dal padre, e la figlia dalla madre, e la nuora dalla suocera. E nemici dell’uomo i propri domestici.» [Mt 10,33-36]. Perché «nemici dell’uomo i propri domestici»? Perché conflitto finanche coi nostri familiari? Perché il nostro assoluto è Cristo, «Via, Verità e Vita». Perché, per compiere il nostro dovere di seguirlo, rispettarlo, raggiungerlo, dobbiamo combattere ed essere pronti a sacrificare ogni altra cosa.
Pio XI ricorda che i cattolici messicani «si manten[nero] fermi nel proposito di resistere pazientemente all’arbitrio e alla prepotenza altrui, pur di non separarsi dall’unità della Chiesa e dall’Ubbidienza alla Sede Apostolica». Mantenersi nell’unità del Corpo Mistico. «Chi ama suo padre o sua madre piú di Me, non è degno di Me; e chi ama il figlio o la figlia piú di Me, non è degno di Me.» [Matteo X,37]. Non c’è amore né rispetto né pace che sia piú importante di Cristo.
Combattimento interiore, combattimento sociale: ciò regna nella vita del cristiano, in quanto Cristo è Re non solo nel privato, bensí soprattutto nella società, nel consorzio umano. Combattimento sociale in quanto il fine della società è quello di favorire il raggiungimento della beatitudine —detto fine ultimo—, assicurando ai propri appartenenti quei beni —detti anche fini prossimi— necessari, utili o convenienti a tale scopo. È dovere del cristiano, dunque, combattere affinché la società rimanga sana. Una società che non assolve il proprio compito non ha motivo d’essere.
In ultima analisi è vero atto di Carità —nei confronti propri ed in quelli prossimi—, nel caso se ne presenti la necessità, combattere.

Dunque, il pacifismo è coerente col Cattolicesimo? Rispondiamo: no.
La pace tra i popoli può aversi solo se v’è concordanza sulla Verità, se Questa è rispettata da tutte le parti. A tal proposito è chiarissimo San Paolo, quando, parlando ai Gentili convertiti, dice: «Ma adesso in Cristo Gesú voi, che eravate una volta lontani, siete diventati vicini mercede del sangue di Cristo. Imperocché Egli è la nostra pace […]. E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e pace a’ vicini: conciossiaché per Lui abbiamo e gli uni e gli altri accesso al Padre mediante un medesimo Spirito.» [Ef 2,12-18]. È vero che non è l’argomento principale di tale discorrere, ma è evidente anche come il Santo evidenzi il fatto che l’unione delle genti si fonda su Cristo, e non può fondarsi su altro. Affinché non vi sia dubbio, citiamo anche lo stesso Nostro Signore quando invia gli «operai della messe»: «Andate: ecco che io mando voi come agnelli tra lupi. […] Ma in qualunque città che, entrati essendo, non vi ricevano, andate nelle piazze e dite: “Abbiamo scosso contro di voi sin la polvere, che ci si era attaccata della vostrà citta: con tutto questo sappiate che il regno di Dio è vicino”.» [Lc X,3-11].

Pacifismo e Cattolicesimo risultano, quindi, contrapposti, proprio perché mentre pel primo la pace è l’assoluto da rispettare e perseguire, rispetto al quale devono adattarsi la «verità», la «realtà» et cetera, pel Secondo la Verità è l’assoluto da rispettare e la pace terrena può esistere solo se subordinatale.

«Non si turbi il cuor vostro, né s’impaurisca». Non lo turbino la guerra, le sofferenze, le avversità, i mali terreni. Non tema: la vera Pace sarà la ricompensa.


venerdì 5 aprile 2013

I piú grandi: gl’infanti del Signore

Se non vi convertirete, e non diventerete come fanciulli, non entrerete nel Regno de’ Cieli.
[Matteo XVIII,3]


Le prime età posseggono delle caratteristiche non solo desiderabili, bensí necessarie.
Precisando che tale dire non rappresenta affatto un disprezzare l’età adulta in sé (che non è da intendersi intrinsecamente come una corruttela), è palese come quest’ultima generalmente porti, purtroppo, un decadimento spirituale. L’esatta chiave di lettura per questa triste realtà ce la dà lo stesso Vangelo: chiunque peraltro si farà piccolo, come questo fanciullo, quegli sarà il piú grande nel Regno de’ Cieli; vediamo perché.
Come sappiamo, crescendo acquisiamo nuove conoscenze e capacità, maggiori responsabilità, esperienza: se queste sono oggettivamente cose positive, cionnonostante esse sono solitamente accompagnate da una nota stonata… la superbia.
In verità l’uomo, pur crescendo, conserva sempre l’«ossatura spirituale» costruitasi durante i primi anni: la stessa essenza si manifesta rispetto a differenti oggetti e situazioni. 
Analizziamo, ad esempio, l’entusiasmo da cui gran parte delle persone si lasciano investire per un’acquisita capacità: in questo non somigliano forse al bambino euforico per un nuovo giochetto ricevuto? Il bimbo non vede altro che il nuovo presente, passa qualche giornata a contemplarlo ed adorarlo… e poi si stanca e lo abbandona, perché non lo diverte né interessa piú… egualmente l’uomo non vede altro che questa sua nuova qualità o «vittoria» e, in preda ad un ver’e proprio delirio d’onnipotenza, tenta di sottrarsi all’ordine, animato da un velleitario desiderio di conquista… s’ostina e resiste, si convince del fatto che questa novità sarà la chiave di svolta, quella decisiva per imporsi come «padrone»… finché non si rende conto che non basta ad ottenergli questo perverso obiettivo, e cerca di «progredire» ancora. Insomma: un continuo naufragare tra illusioni e delusioni.
Come questo potrebbero farsi tant’altri esempi: anche gli adulti sono capricciosi, viziati, pigri o qualsiasi altra cosa siano già stati da bambini. A proposito di ciò certamente bene potrebbero testimoniare i genitori, testimoniare ch’è nei primi anni che possono intervenire per formare i propri figli, siccome dopo, nonostante le contingenze parranno «cambiarli» —a meno che non vengano a verificarsi eventi di un peso straordinario—, non sarà piú possibile —o non sarà affatto facile— correggerli.
Dove risiede, dunque, questa sostanziale diversità sulla quale si fonda l’ingiunzione evangelica? Se tra fanciullo ed adulto non c’è una differenza sostanziale —ma, bensí, una differenza di contesto—, qual è la caratteristica che il Signore ci intima di ottenere?
Analizziamo il mutamento di contesto, analizziamo ciò che caratterizza il passaggio reale tra le due «fasi» della vita: cambiano gl’impegni, le responsabilità, le attività… cambia la propria posizione nella gerarchia nella quale s’è inseriti. Non s’è piú sottomessi (nel senso immediato… non certo che si sciolga il legame) ai propri genitori, bensí si provvede e decide per sé stessi. È quest’ultima cosa che accende la fretta degli adolescenti… e che, poi, vivifica la nostalgia degli adulti. Anche qui, appunto, osserviamo il passare dall’impetuosa illusione (adolescenziale) all’amara delusione, sofferenza (adulta). È in questo —a nostro umilissimo parere— che trova parafrasi Nostro Signore: colui che sarà grande nel Regno dei Cieli sarà chi avrà saputo farsi piccolo, sottomettersi al Padre ponendo la Sua Saggezza, il Suo Comando sopra la nostra coscienza e volontà.
È il dire «sí, io non basto a me stesso», «ho bisogno di Te», che ci otterrà la grandezza. L’esempio di Maria Santissima valga per tutti: Colei che s’è fatta ancella, Colei che ha gridato forte il suo «obbedisco; obbedisco alla Tua Volontà», Lei è stata fatta Regina del Cielo e della terra. 
Non è forse questo che distingue il ragazzo dall’adulto? Non è forse il bisogno di qualcuno che ci aiuti, tuteli, a farci dipendere dai nostri genitori? È a questo fine che loro ci educano: affinché impariamo a gestire noi stessi, a difenderci ed amministrarci da soli.  
Dio s’è rivolto a noi come Amico, come Fratello, come Sostegno, come Re… ma, principalmente, s’è rivolto a noi come Padre, chiamandoci sempre, soprattutto, figli. 
In questo tempo datoci, ora che la nostra situazione è mutevole, che dobbiamo operare in vista del giudizio che ci attende, Dio ci chiede di comportarci da «infanti» quali siamo, ci chiede di riconoscere che abbiamo bisogno di Lui. Non appartiene a questa vita la reale età adulta dell’uomo, non è in questa vita che raggiunge la sua maturità: l’immutabilità appartiene all’eternità. 
Dio ci chiede di riconoscere la Sua Autorità, di lasciarci crescere da Lui, di lasciarci guidare alla beatitudine.

Per una spinta di superbia è caduto il demonio; nell’umiltà Dio —infinitamente Giusto— semina grandezza. Sia lodato.

sabato 30 marzo 2013

Santa Pasqua



Il gruppo Prœlium gradisce augurare ai lettori una serena e Santa Pasqua, sperando ch’Essa sia fonte di grazie ed occasione di riflessione e conversione.



Approfittiamo per impegnarci a riprendere il prima possibile la nostra attività, forzatamente ferma da mesi.
Ancora i nostri migliori auguri.

giovedì 3 gennaio 2013

Ritornare al concreto — gli eccessi della società contemporanea e l’equilibrio della società d’un tempo

Apriamo il 2013, dopo un relativamente lungo periodo di pausa, con questo articoletto. Con tanto gradiamo augurarvi un anno positivo, che serbi felici sorprese e che voglia confermarvi nella Fede e nel valore. Sia un anno all’insegna della lotta contro il male che pervade la società e contro il peccato che risiede in noi stessi. Approfittiamo anche per scusarci di non avervi destinato gli auguri pelle festività natalizie, ripariamo sperando che queste siano state, per voi, tempo di preghiera e d’ottenimento di grazie. In Gesú e Maria, i camerati del cuib san Bernardo.

Un popolo che lavora la terra è piú vicino al Cielo! 

Le parole di sottotitolo sono state pronunciate da Roberto Fiore, in tempi relativamente recenti. Mi sono rimaste impresse, in quanto esplicitavano sinteticamente un pensiero formatosi nella mia mente da tempo.

Effettivamente è da notarsi come la totalità delle persone individui, come principale mutamento rispetto alla vita «dei nostri nonni», il distaccamento dal lavoro della terra… e come i nostri nonni fossero infinitamente piú vicini al Cielo di noi.

Un secolo fa la vita era segnata da un continuo entrare in rapporto colla realtà circostante: si sfruttavano le possibilità del terreno e l’aiuto degli animali, onde potersi garantire un certo grado d’autosufficienza, e si conduceva una vita «di paese», coltivando i rapporti coi propri vicini. A primo acchitto parrà che questo stile di vita fosse stato adottato per necessità, ed è anche vero; cionnonostante, distaccandoci da tale «necessità», ci hanno distaccati dal salubre vivere a cui siamo stati destinati.

Dice il Signore, nella Genesi (IV, 19): «Mediante il sudore della tua faccia mangerai il tuo pane, fino a tanto che tu ritorni alla terra, dalla quale sei stato tratto: perocché tu sei polvere, ed in polvere ritornerai.».
Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris: l’uomo, mutando il proprio stile di vita, ha anzitutto dimenticato la propria miserabilità e s’è convinto di potere tutto, d’essere il centro, il fulcro della realtà; pensando di non dover piú agire in armonia colla natura e colle leggi che la regolano, bensí illudendosi di poter piegare il creato a suo piacimento (e, quindi, di non aver bisogno di Legislatore alcuno né di rapportarsi con una dimensione di cui crede d’essere il padrone), è stato, in un certo senso, travolto da un delirio d’onnipotenza. Da qui le spinte ricerche (piú o meno) scientifiche, dimentiche d’ogni principio etico; il disconoscimento della Verità oggettiva e superiore all’uomo, colla conseguenziale caduta nel caos relativista; il trionfo dell’egoismo e dell’egocentrismo.
«Simpatico» è accorgersi di come, per elevarsi — in imitazione d’un memorabile non serviam — l’uomo sia finito a disprezzarsi, come anche capitò al «maestro» ribelle. Non v’è piú alto valore, pell’uomo, che quello che guadagna seguendo il volere di Dio: per negare ciò, egli ha cominciato ad equipararsi agli animali; a negare la dignità della sua vita, aprendo la strada ad eugenetica, aborto, eutanasia, ecc.; a giustificare ogni proprio difetto, piuttosto che cercare di perfezionarsi in virtú e santità.
La realtà attuale, per tanto, somiglia sfacciatamente a quanto gl’illuministi, a loro tempo, tentavano d’insidiare nei cuori. Non è forse, parimenti, un’affannosa persecuzione del «progresso» e dell’«uguaglianza», quella che anima i nostri tempi? L’ennesima riprova di come la trama storica non sia fatta di eventi a sé stanti e casualmente conseguenziali, bensí è il riflesso della battaglia tra Dio ed il demonio: sono sempre gli stessi princípi a causare e muovere i fenomeni storico-politici.

Ancora l’uomo, slegandosi dalla terra, s’è «alienato», non avendo piú la possibilità di mirare l’armoniosità del creato. Molti santi ebbero a dire che, dalle cose create, si mostra l’immensità del Creatore: se il lavoro della terra ed il rapporto colla natura poneva l’uomo in perenne contemplazione, la società contemporanea ci fa disprezzare tale condizione… tant’è vero che i giovani d’oggi cercano tutti d’imporsi quali lavoratori d’ufficio, medici, liberi professionisti ecc… e coloro i quali ancora lavorano colle coltivazioni o gli allevamenti sono visti come degl’infimi. Inoltre la vita s’è fatta affannosa, asfissiante e devastante… succhia tutto lo slancio vitale, non lasciandone affatto, affinché l’uomo non consideri la natura ed il Padre di tutte le cose.
Egli, oggi, (e non l’uomo di oggi, quasi come se la sua natura mutasse, col passare del tempo) vive in una dimensione «virtuale», in una frenesia anormale, che illude di poter fare e realizzare cose che, nella realtà, non sono d’umana portata. Ciò distorce la sua psiche e la lega a desiderî irrealizzabili, passioni corrotte e visioni distorte della realtà. [Questo non vuol essere una condanna alla tennologia in sé, né alle conquiste, ma all’abituale abuso che se ne fa e che si costringe tutti a fare.]

L’allontanamento dalla terra e, piú in generale, dal sistema «dei nostri nonni ed avi», spinge alla «delegittimazione» della sana dottrina in materia d’amministrazione\ordinamento societario, dando spazio a teorie fondamentalmente erronee; il lavorare la terra, specialmente quello che si faceva a «dimensione familiare», incentivando la collaborazione tra famiglie e rendendo i legami «intra muros» tanto forti da risultare indispensabili, costituiva, implicitamente, un’ottima scuola filosofico-politica. Tutto era un reciproco aiutarsi, al fine di poter tutti conseguire delle condizioni di vita accettabili; il bisogno l’uno dell’altro era il fondamento della società, scoraggiava l’adozione di atteggiamenti problematici ed alimentava una sana vita sociale. Questo era un sistema solido: l’uomo aveva il suo giusto posto e le famiglie erano l’elemento basilare, realtà «sacre» e forti. Ovviamente ogni fatto umano ha le sue imperfezioni, ma è innegabile che la società d’un tempo avesse le giuste basi filosofiche.
Oggi s’oscilla tra individualismo (spesso invigorito da sentimenti d’invidia, disprezzo, odio, malvagità) e stato(istituzioni)latria; soventemente vediamo gli uomini costretti a sofferenze e condizioni inaccettabili, pur di salvare stati, banche ed istituzioni di sorta, quando, piuttosto, le istituzioni dovrebbero essere al servizio degli uomini stessi.

Il nuovo stile di vita, inoltre, porta disordini a livello fisico, i quali causano confusioni umorali e, piú generalmente, emotive o razionali… tant’è che l’uomo è spesso spinto a cercare d’emulare l’ambiente in cui viveva un secolo fa, o fuggire in piccole «oasi».

I ritmi del nuovo andazzo sono sgangherati e deformi e, l’essere umano, pur avendo drasticamente ridotto i tempi necessari all’ottenimento di beni utili, non può che vivere i tanti tempi morti con altrettanta ansietà, quasi come preso da una sorta d’agitazione od iperattività… le vanità si trasformano in bisogni, e non piú vale il detto chi s’accontenta gode, bensí questo pare un insulto all’insaziabilità umana, quasi come quest’ultima rappresentasse un valore aggiunto, un «salto di qualità» verso una «nuova umanità».
La vita degli avi era caratterizzata da un tranquillo equilibrio e da un confortante realismo; invece, al giorno d’oggi, l’uomo si fa sempre piú fragile, non sopportando piú alcuna sofferenza né reggendo alcuno sforzo, ed appare chiaro come questa fragilità lo costringa irrimediabilmente ad un’avvilente sofferenza, in quanto egli persegue obiettivi irragiungibili.

In ultimo, il cambiamento, a livello societario, mette in grave rischio la serenità dei popoli, in quanto non ci si cura piú di garantire l’autosufficienza, bensí si «rimedia» alle mancanze causate da tale errore appoggiandosi su situazioni esterne, le quali certo possono venire a mancare. Obiettivo delle società non è piú procacciarsi una sicurezza, un’autonomia, bensí dar adito e sequela all’ossessione progressista… ed è a motivo di ciò che la situazione dei consorzi umani è perennemente instabile, si gongola tra crisi e rinascite, accecata da una continua sensazione di dinamismo.

In sintesi, non può restaurarsi una sana realtà se non si placa la bramosia di progresso, non s’estirpa dagli animi questo cancro. Bisogna distaccare i cuori da queste fantasie, affinché gli uomini siano nuovamente animati da un pensiero sano e naturale. Il reale fondamento d’un sistema stabile e confortevole è l’accorgersi delle proprie «dimensioni» e l’imparare ad accettarle ed amarle, allontanando da sé insalubri ambizioni d’innalzamento… o, per meglio dire, eccesso.


giovedì 1 novembre 2012

Il fascino delle tenebre e la tendenza all’infinito: festeggiamo Ognissanti, non «alluin»

In vista della santa ricorrenza che ricade il primo novembre, viscidamente avversata dalla demoniaca «festività» di «alluin», nasce spontanea una breve riflessione sull’umana tendenza all’infinito.

L’essere umano occupa la centralità del disegno divino.
La nostra natura stessa c’impone di «salire o scendere»: elevarci, secondo la volontà di Dio, o decadere, in virtú del nostro libero arbitrio.
Effettivamente l’uomo è intrinsecamente fatto pell’Inquantificabile, pensato pell’ottenimento della grazia, della beatitudine; tuttavia (proprio in virtú di questa sua altissima dignità, tanto alta da poter meritare l’Immenso) egli possiede la libertà anche di disprezzare quest’Immenso e di «soddisfare» la propria natura con un’«immensità» opposta, eterna anch’essa, la quale è accompagnata da tutto il dolore che deve necessariamente derivare dal rifiuto del Bene. Questa necessità d’infinito appartiene al nostro essere e dallo stesso non può essere alienata.
La nostra precarietà, dunque, è caratterizzata da un poter superare la nostra natura (non certo in virtú della stessa, bensí per via della grazia) o un poter disprezzare la nostra dignità, ma non da un poterci tirar fuori da questa scelta. Anche quando ci pare di mantenerci in una becera ignavia, quando ci par di «non far né una cosa né l’altra», stiamo rinunciando a Ciò a cui anela la nostra sostanza, proprio perché solo l’elevazione è un processo «positivo», «attivo», mentre la decadenza deriva dalla nostra natura stessa, quando manca l’atto positivo d’elevazione (cosí come il Bene è, mentre il male non è di per sé, ma non è altro che la mancanza di Bene; per questo la «soddisfazione» data dal male di cui dicevamo prima è volutamente virgolettata: perché apparente, in quanto non può esservi soddisfazione se manca un oggetto soddisfacente); un corpo con un certo «grado» di disordine, d’entropia, non può che incrementare lo stesso, se non interviene un processo «sovrannaturale».
Potremmo piú facilmente esprimere questo concetto immaginandoci come stanti su di un percorso in salita dove, per procedere, dobbiamo correre superando degli ostacoli (che possono essere sia quelli derivanti dalla nostra natura stessa che quelli posti dal mondo, dall’intervento del demonio) coll’aiuto di adeguate attrezzature (la grazia) senza le quali non potremmo proseguire, ma se ci fermiamo rotoliamo giú velocemente, senza incontrare ostacolo alcuno (se non qualche ulteriore grazia che cerca di fermare la nostra decadenza e ridarci forza per riscalare…). Ovviamente sopra c’è un reale tesoro, mentre giú una grande illusione (che porta con sé anche una dolorosissima delusione). Poi ci sono anche soggetti che decidono volontariamente di scendere…


Proseguiamo il discorso inserendovi il contrasto tra Ognissanti ed «alluin».
Vediamo come la reale ricorrenza viene accantonata per preferirle la seconda. In effetti anche in questo caso viene a verificarsi che si rifiuta l’immensità della beatitudine e si sceglie un’apparente «soddisfazione» data dall’oscurità, pel solo motivo che quest’ultima impedisce di vedere la fine della sua pochezza e, per tanto, dà l’illusione d’aver sempre altro da proporre all’insaziabilità umana.
Questa preferenza è oggettivamente stupida, tuttavia la quasi totalità delle genti opta pella stessa: perché?

1. Ricerca della strategia piú rapida. Sappiamo tutti che la nostra attuale condizione «ci sta stretta», fa soffrire, ci irrita. È evidente. In questa situazione si cerca di fuggire dalla nostra piccolezza, di ingrandirci, di appagarci. Qui entra in gioco il fine. La corruzione non sta nell’azione in sé (la ricerca) ma nell’oggetto verso la quale la orientiamo (Dio, Fine ultimo\altro), il fine che vogliamo raggiungere. Per questo le cose buone e quelle cattive spesse volte non sono tanto contrapposte quanto analoghe, ma è nelle dissomiglianze che si trovano le differenze sostanziali. Ora, alla ricorrenza dei Santi viene opposta non una giornata di lavoro, bensí una «ricorrenza» demoniaca (anzi, sarebbe meglio dire che alla «ricorrenza» demoniaca la Santa Madre Chiesa oppose la ricorrenza d’Ognissanti, spostandone la data). Se il male non si proponesse come soluzione «simile» alla santità, ma di piú rapido ottenimento, l’uomo non si lascerebbe ingannare dallo stesso. Tant’è che la stessa logica è stata anche «seguita» dalla Chiesa per sostituirsi al male che imperava: ad esempio Bonifacio IV sostituí gli «dei» pagani del Pantheon coi martiri cristiani.

2. Ricerca della strategia piú semplice. Strettamente collegata colla rapidità è la facilità d’ottenere il fine preposto; piú facile è, piú veloce è. Significativo è il fatto che mentre il Bene si propone come «vetta da raggiungere con fatica» il male si offre come «bene» d’istantaneo accesso. A rigor di logica «ciò che piú costa di miglior qualità è», ma similmente a come non ci garba spender denaro, a come siamo attaccati al nostro «conto», cosí ripugnamo di spenderci, impegnarci, affannarci per ottenere il Bene. Sostituiremo le maglie di scarsa qualità finché il nostro conto ce lo permetterà, ma anche l’ultima finirà… mentre avremmo potuto spenderlo tutto per ottenere una maglia «indistruttibile». Potremo sostituire il soddisfacimento temporaneo offerto dal male sempre con un altro… finché non terminerà il tempo in cui potremo ancora agire e procurarcene un altro; mentre avremmo potuto spendere questo tempo per guadagnare iquello eterno, la beatitudine. Quando anche l’ultimo soddisfacimento temporaneo offerto dal male terminerà, saremo condannati a quell’assenza di Bene eterna, logorante, asfissiante, soffocante.

Onde meglio indirizzarci, dunque, la Madre Chiesa (similmente a quanto Cristo stesso fece, rivelandoSi, per mostrare al mondo ch’Egli solo è la Via, la Verità e la Vita; Egli solo è la strada che dobbiamo percorrere, la «strategia» da adottare; Egli solo è il vero soddisfacimento, l’Obiettivo; Egli solo è eterno, inesauribile; Egli è Colui per cui noi siamo fatti) pone questa ricorrenza l’1 Novembre, in netta contrapposizione colle assurde celebrazioni del male nate in ambiente pagano e tutt’ora sopravvisute, sotto le mentite spoglie della «carnevalata».
La solennità di oggi evidenzia come il sacrificio, la vita spesa interamente pel solo, sommo, Fine (tant’è che, inizialmente, ad annoverarsi tra i santi erano esclusivamente i martiri) sono l’unica via per soddisfare la nostra natura, la quale è stata fatta col solo scopo d’essere presente tra le fila di coloro ch’adoreranno il Signore, che conquisteranno l’Immenso.
La scelta giusta non è la piú economica\semplice\rapida. Né se l’uomo guadagnasse tutt’i beni della terra né se egli non s’attivasse affatto gioverebbegli, bensí a tutti coloro che lavoreranno la sua vigna Egli darà ricompensa.

Disponiamoci, dunque, coll’aiuto della grazia. Seguiamo gli esempi dei Santi: veneriamoli, invochiamo il loro sostegno. Se realmente vogliamo estinguere la nostra famelica necessità, placare la nostra voracità, soddisfare la nostra ansia: imitiamo i Santi! Imitiamo Maria! Imitiamo Cristo!

Scegliamo Ognissanti, non «alluin»!

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VOLANTINO DIFFUSO IN OCCASIONE DELLA «RICORRENZA» SATANICA

venerdì 28 settembre 2012

Se questa è una donna…

Da un po’ di decenni a questa parte la figura della donna sta mutando (o forse meglio dire si sta pervertendo) sia nel reale che nell’immaginario.
La donna ha raggiunto progressivamente sempre piú «libertà» e s’è sempre piú parificata all’uomo. Questo, detto da un liberale o ad un liberale, suonerebbe come dolce melodia. Detto da noi, no. Vi spieghiamo brevemente il perché… san Bernardino disse:
e dico che la donna è piú pulita e preziosa nella carne sua, che non è l’uomo; […] l’uomo non fu egli criato da Dio di fango? Sí. […] E la donna fu fatta di carne ed ossa, sicché ella fu fatta di piú preziosa cosa che tu.
È in questi termini che consideriamo l’emancipazione femminile una vergogna ed un inganno per coloro le quali non si rendono conto di cosa vanno cercando. La donna ha apertamente rifiutato la propria sublime dignità asserendo erroneamente che l’uomo fosse meglio considerato e trattato. In realtà, l’errore nell’uomo era (ed è tutt’ora…) piú tollerato a causa della sua inferiore qualità. Nell’immaginario umano ciò ch’è tollerato nell’uomo non lo è nella donna, non perché certe cose siano «libertà», bensí perché sono vergogne.

L’ultima trovata emancipatoria pare essere un pillola (della quale non è nota nessuna caratteristica) che permette di regolare a proprio piacimento il ciclo. A quando una che tramuta le particolarità fisiche femminili in quelle maschili?

Le donne (molte ingenuamente, molte altre no), per voler essere «apprezzate» sono finite per tramutarsi in mostri. Hanno disprezzato di sé stesse l’essere madri prima, l’essere mogli poi, l’essere donne ora.
Felici d’essere decadute dalla preziosità della quale v’aveva fatte e rivestite Iddio? Contente d’aver barattato la vostra sostanza con del lurido fango? Contente voi, contenti tutti.

sabato 1 settembre 2012

Circa la PREDAZIONE DI ORGANI

Vogliamo qui trattare, per quanto sinteticamente possibile, la cosidetta «donazione» di organi.
La gente è solita rabbrividire a sentir parlare di traffico illegale di organi, di omicidi e rapimenti… eppure viene improvvisamente investita da una grande stima e commozione, quando si parla di «donazione» di organi… e se qualcuno gli parlasse di predazione di organi?

L’esportazione di organi deve avvenire, per forza di cose, in pazienti vivi. Se gli organi fossero prelevati da un cadavere, niente se ne potrebbe fare, se non quello che si fa col resto del cadavere. Sapevate che i «cadaveri» da cui vengono estratti gli organi vengono anestetizzati, o, meglio… paralizzati? A commuovervi dovrebbero essere le testimonianze di tanti dottori ed infermieri che han dovuto vedere le reazioni di dolore dei poveri «cadaveri»… un cadavere certamente non potrebbe abbracciarti, né muovere violentemente gli arti o qualcosa del genere. Un cadavere potrebbe venire a fare una corsetta con voi e ritrovarsi poi col polso accellerato? Ecco, quando «dona» prova la stessa sensazione.
Quando succedono incidenti avete mai visto qualcuno controllare se le vittime sono in vita diversamente dal tradizionale controllarne la circolazione sanguigna?
La «morte celebrale» è una grande falsità!
Sentite cosa dice, a proposito, il prof. Peter Singer, presidente dell’Associazione Internazionale di Bioetica:
...la morte cerebrale non è altro che una comoda finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il procacciamento di organi... [Congresso di Cuba, 1996]
Il prof. Massimo Bondí:
La morte cerebrale è ascientifica, amorale e asociale! [Audizione Commissione sanità, 1992]
I dottori  Robert D. Trough e James C. Fackler:
Non è possibile accertare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello con i mezzi clinico-strumentali attuali. [Critical Care Medicine, n° 12, 1992, Rethinking Brain Death (Ripensamento sulla morte cerebrale)]
Alcuni obietteranno che quei pazienti sono, oramai, in condizioni irreversibili… sentite, dunque, il dottor Cicero Galli Coimbra:
...i protocolli diagnostici per dichiarare la morte cerebrale (test dell’apnea) inducono un danno irreversibile su pazienti che potrebbero essere salvati. [Convegno internazionale Roma 19/2/2009]
E, anche se fosse, questi pazienti sono ancora vivi. Che la loro vit valga meno di quella d’un paziente cosciente? Andatelo a dire ai vostri parenti malati che, siccome sono stati sfortunati, in confronto a voi sani sono «inferiori». Quanti danni ha fatto quel cogito ergo sum! Andatelo a dire a coloro i quali (e non sono certo pochi!) sono «tornati in vita» dopo essere celebralmente «morti», mentre li vedrete mangiare in compagnia dei propri cari o scorrazzare in prati verdi insieme ai propri figli e nipoti, che in quel periodo loro valevano meno di voi o che non erano!

La predazione di organi è un OMICIDIO!  

La «morte» celebrale è una falsita pella biologia, perché: 
  • Tutti gli organi dei pazienti «morti» sono perfettamente funzionanti; 
  • Non si può accertare la cessazione di tutte le funzioni encefaliche, poiché quelle conosciute e monitorabili sono solo il 10% delle totali;
  • Anche tra le funzioni encefaliche conosciute alcune sono ancora presenti, quando i pazienti vengono dichiarati «morti».
Anche pella legge la «morte» celebrale è una falsità, poiché essa dice per cadavere si intende il corpo umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratoria e cerebrale e, come poco fa abbiamo visto, la «morte» celebrale non tiene proprio conto delle prime ed è ingannevole rispetto alle seconde.

Per predare gli organi si commete il reato di OMISSIONE DI SOCCORSO!

Sapete che la «morte» celebrale viene dichiarata quando voi potreste ancora riprendervi, ossia entro 24\48 ore da quando venite ricoverati in rianimazione e, durante questo stesso periodo, i medici non fanno assolutamente niente per salvarvi? Per farlo, dovrebbero fare degl’interventi d’urgenza che prima venivano operati anche nei piccoli ospedali, poiché vi erano sempre chirurghi capaci di farlo. Oggi, invece, onde far passare piú tempo (e, per tanto, rendere meno probabile il recupero), questi interventi vengono fatti solo nei grandi ospedali. 
Sono interventi che andrebbero praticati entro le prime due ore dall’incidente (poiché la quasi totalità degli espianti viene praticata su pazienti accidentati che hanno un versamento ematico nel cranio) e servono per decomprimere il cervello, quali la entricolostomia, i drenaggi extra e subdurali e la craniotomia per ematoma extradurale. Con questi interventi ed alcuni farmaci potrebbero salvarvi… ma non lo fanno. Perché? Perché i vostri cari organi valgono piú di voi. 
Per verificare la vostra «morte» celebrale i cari dottori vi eseguono un esame (come già detto sopra, il test dell’apnea) che certamente, se non v’avevano già lasciati diventare irrecuperabili, completa l’opera. Volete sapere perché l’apnea vi distrugge? Anche se voi foste ancora capaci di respirare da voi, i cari dottori v’intuberanno (cosa che dovrebbero fare solo se necessario), cosicchè i vostri polmoni, vedendosi inutili, s’atrofizzeranno. Poi, i cari dottori, molto «intelligentemente», vedranno come rispondete se vi tolgono la ventilazione… facendo finta di non sapere d’avervi distrutto i polmoni… e l’ossigeno a disposizione del vostro corpo diminuirà progressivamente, danneggiandolo irreversibilmente.
Dopo avervi fatto questo bel servizio, i dottori dichiarano che «non c’è niente da fare piú» e vi portano a far loro i regalini… uccidendovi.

Questo non siamo noi forzanovisti ad affermarlo, ma dottori e chirurghi che, sapendo queste cose, si sono ribellati. Per saperne di piú, collegatevi al sito della Lega Nazionale contro la PREDAZIONE DI ORGANI e la MORTE A CUORE BATTENTE: troverete tutte le informazioni che vi servono per convincervi, qualora noi non fossimo riusciti nell’intento, che la «donazione» è un grande crimine e, inoltre, troverete come tutelarvi. 

La vita è sacra:
NON UCCIDERE!
La tua vita non è tua, ma ti è stata donata, non hai alcun potere su di essa.
Come non hai potuto decidere pel suo inizio, cosí non sta a te decidere della sua fine:
NON LASCIARTI UCCIDERE!