Se
non vi convertirete, e non diventerete come fanciulli, non entrerete
nel Regno de’ Cieli.
[Matteo XVIII,3]
Le prime età posseggono delle caratteristiche non solo desiderabili,
bensí necessarie.
Precisando
che tale dire non rappresenta affatto un disprezzare l’età adulta
in sé (che non è da intendersi intrinsecamente come una
corruttela), è palese come quest’ultima generalmente porti,
purtroppo, un decadimento spirituale. L’esatta chiave di lettura
per questa triste realtà ce la dà lo stesso Vangelo: chiunque
peraltro si farà piccolo, come questo fanciullo, quegli sarà il piú
grande nel Regno de’ Cieli;
vediamo perché.
Come sappiamo, crescendo acquisiamo nuove conoscenze e capacità,
maggiori responsabilità, esperienza: se queste sono oggettivamente
cose positive, cionnonostante esse sono solitamente accompagnate da
una nota stonata… la superbia.
In verità l’uomo, pur crescendo, conserva sempre l’«ossatura
spirituale» costruitasi durante i primi anni: la stessa essenza si
manifesta rispetto a differenti oggetti e situazioni.
Analizziamo, ad
esempio, l’entusiasmo da cui gran parte delle persone si lasciano
investire per un’acquisita capacità: in questo non somigliano
forse al bambino euforico per un nuovo giochetto ricevuto? Il bimbo
non vede altro che il nuovo presente, passa qualche giornata a
contemplarlo ed adorarlo… e poi si stanca e lo abbandona, perché
non lo diverte né interessa piú… egualmente l’uomo non vede
altro che questa sua nuova qualità o «vittoria» e, in preda ad un
ver’e proprio delirio d’onnipotenza, tenta di sottrarsi
all’ordine, animato da un velleitario desiderio di conquista…
s’ostina e resiste, si convince del fatto che
questa novità sarà la chiave di svolta, quella decisiva per imporsi
come «padrone»… finché non si rende conto che non basta ad
ottenergli questo perverso obiettivo, e cerca di «progredire»
ancora. Insomma: un continuo naufragare tra illusioni e delusioni.
Come questo potrebbero farsi tant’altri esempi: anche gli adulti
sono capricciosi, viziati, pigri o qualsiasi altra cosa siano già stati
da bambini. A proposito di ciò certamente bene potrebbero
testimoniare i genitori, testimoniare ch’è nei primi anni che
possono intervenire per formare i propri figli, siccome dopo,
nonostante le contingenze parranno «cambiarli» —a meno che non
vengano a verificarsi eventi di un peso straordinario—, non sarà
piú possibile —o non sarà affatto facile— correggerli.
Dove risiede, dunque, questa sostanziale diversità sulla quale si
fonda l’ingiunzione evangelica? Se tra fanciullo ed adulto non c’è
una differenza sostanziale —ma, bensí, una differenza di
contesto—, qual è la caratteristica che il Signore ci intima di
ottenere?
Analizziamo
il mutamento di contesto, analizziamo ciò che caratterizza il
passaggio reale tra le due «fasi» della vita: cambiano
gl’impegni, le responsabilità, le attività… cambia la propria
posizione nella gerarchia nella quale s’è inseriti. Non s’è piú
sottomessi (nel senso immediato… non certo che si sciolga il
legame) ai propri genitori, bensí si provvede e decide per sé
stessi. È quest’ultima cosa che accende la fretta degli
adolescenti… e che, poi, vivifica la nostalgia degli adulti. Anche
qui, appunto, osserviamo il passare dall’impetuosa illusione
(adolescenziale) all’amara delusione, sofferenza (adulta). È in
questo —a nostro umilissimo parere— che trova parafrasi Nostro
Signore: colui che sarà grande nel Regno dei Cieli sarà chi avrà
saputo farsi piccolo, sottomettersi al Padre ponendo la Sua Saggezza,
il Suo Comando sopra la nostra coscienza e volontà.
È il
dire «sí, io non basto a me stesso», «ho bisogno di Te», che ci
otterrà la grandezza. L’esempio di Maria Santissima valga per
tutti: Colei che s’è fatta ancella, Colei che ha gridato forte il
suo «obbedisco; obbedisco alla Tua Volontà», Lei è stata fatta
Regina del Cielo e della terra.
Non
è forse questo che distingue il ragazzo dall’adulto? Non è forse il
bisogno di qualcuno che ci aiuti, tuteli, a farci dipendere dai nostri
genitori? È a questo fine che loro ci educano: affinché impariamo a
gestire noi stessi, a difenderci ed amministrarci da soli.
Dio s’è rivolto a noi come Amico, come Fratello, come Sostegno,
come Re… ma, principalmente, s’è rivolto a noi come Padre,
chiamandoci sempre, soprattutto, figli.
In
questo tempo datoci, ora che la nostra situazione è mutevole, che
dobbiamo operare in vista del giudizio che ci attende, Dio ci chiede di
comportarci da «infanti» quali siamo, ci chiede di riconoscere che
abbiamo bisogno di Lui. Non appartiene a questa vita la reale età adulta
dell’uomo, non è in questa vita che raggiunge la sua maturità:
l’immutabilità appartiene all’eternità.
Dio ci chiede di riconoscere la Sua Autorità, di lasciarci crescere da Lui, di lasciarci guidare alla beatitudine.
Dio ci chiede di riconoscere la Sua Autorità, di lasciarci crescere da Lui, di lasciarci guidare alla beatitudine.
Per una spinta di superbia è caduto il
demonio; nell’umiltà Dio —infinitamente Giusto— semina
grandezza. Sia lodato.
Nessun commento:
Posta un commento