venerdì 5 aprile 2013

I piú grandi: gl’infanti del Signore

Se non vi convertirete, e non diventerete come fanciulli, non entrerete nel Regno de’ Cieli.
[Matteo XVIII,3]


Le prime età posseggono delle caratteristiche non solo desiderabili, bensí necessarie.
Precisando che tale dire non rappresenta affatto un disprezzare l’età adulta in sé (che non è da intendersi intrinsecamente come una corruttela), è palese come quest’ultima generalmente porti, purtroppo, un decadimento spirituale. L’esatta chiave di lettura per questa triste realtà ce la dà lo stesso Vangelo: chiunque peraltro si farà piccolo, come questo fanciullo, quegli sarà il piú grande nel Regno de’ Cieli; vediamo perché.
Come sappiamo, crescendo acquisiamo nuove conoscenze e capacità, maggiori responsabilità, esperienza: se queste sono oggettivamente cose positive, cionnonostante esse sono solitamente accompagnate da una nota stonata… la superbia.
In verità l’uomo, pur crescendo, conserva sempre l’«ossatura spirituale» costruitasi durante i primi anni: la stessa essenza si manifesta rispetto a differenti oggetti e situazioni. 
Analizziamo, ad esempio, l’entusiasmo da cui gran parte delle persone si lasciano investire per un’acquisita capacità: in questo non somigliano forse al bambino euforico per un nuovo giochetto ricevuto? Il bimbo non vede altro che il nuovo presente, passa qualche giornata a contemplarlo ed adorarlo… e poi si stanca e lo abbandona, perché non lo diverte né interessa piú… egualmente l’uomo non vede altro che questa sua nuova qualità o «vittoria» e, in preda ad un ver’e proprio delirio d’onnipotenza, tenta di sottrarsi all’ordine, animato da un velleitario desiderio di conquista… s’ostina e resiste, si convince del fatto che questa novità sarà la chiave di svolta, quella decisiva per imporsi come «padrone»… finché non si rende conto che non basta ad ottenergli questo perverso obiettivo, e cerca di «progredire» ancora. Insomma: un continuo naufragare tra illusioni e delusioni.
Come questo potrebbero farsi tant’altri esempi: anche gli adulti sono capricciosi, viziati, pigri o qualsiasi altra cosa siano già stati da bambini. A proposito di ciò certamente bene potrebbero testimoniare i genitori, testimoniare ch’è nei primi anni che possono intervenire per formare i propri figli, siccome dopo, nonostante le contingenze parranno «cambiarli» —a meno che non vengano a verificarsi eventi di un peso straordinario—, non sarà piú possibile —o non sarà affatto facile— correggerli.
Dove risiede, dunque, questa sostanziale diversità sulla quale si fonda l’ingiunzione evangelica? Se tra fanciullo ed adulto non c’è una differenza sostanziale —ma, bensí, una differenza di contesto—, qual è la caratteristica che il Signore ci intima di ottenere?
Analizziamo il mutamento di contesto, analizziamo ciò che caratterizza il passaggio reale tra le due «fasi» della vita: cambiano gl’impegni, le responsabilità, le attività… cambia la propria posizione nella gerarchia nella quale s’è inseriti. Non s’è piú sottomessi (nel senso immediato… non certo che si sciolga il legame) ai propri genitori, bensí si provvede e decide per sé stessi. È quest’ultima cosa che accende la fretta degli adolescenti… e che, poi, vivifica la nostalgia degli adulti. Anche qui, appunto, osserviamo il passare dall’impetuosa illusione (adolescenziale) all’amara delusione, sofferenza (adulta). È in questo —a nostro umilissimo parere— che trova parafrasi Nostro Signore: colui che sarà grande nel Regno dei Cieli sarà chi avrà saputo farsi piccolo, sottomettersi al Padre ponendo la Sua Saggezza, il Suo Comando sopra la nostra coscienza e volontà.
È il dire «sí, io non basto a me stesso», «ho bisogno di Te», che ci otterrà la grandezza. L’esempio di Maria Santissima valga per tutti: Colei che s’è fatta ancella, Colei che ha gridato forte il suo «obbedisco; obbedisco alla Tua Volontà», Lei è stata fatta Regina del Cielo e della terra. 
Non è forse questo che distingue il ragazzo dall’adulto? Non è forse il bisogno di qualcuno che ci aiuti, tuteli, a farci dipendere dai nostri genitori? È a questo fine che loro ci educano: affinché impariamo a gestire noi stessi, a difenderci ed amministrarci da soli.  
Dio s’è rivolto a noi come Amico, come Fratello, come Sostegno, come Re… ma, principalmente, s’è rivolto a noi come Padre, chiamandoci sempre, soprattutto, figli. 
In questo tempo datoci, ora che la nostra situazione è mutevole, che dobbiamo operare in vista del giudizio che ci attende, Dio ci chiede di comportarci da «infanti» quali siamo, ci chiede di riconoscere che abbiamo bisogno di Lui. Non appartiene a questa vita la reale età adulta dell’uomo, non è in questa vita che raggiunge la sua maturità: l’immutabilità appartiene all’eternità. 
Dio ci chiede di riconoscere la Sua Autorità, di lasciarci crescere da Lui, di lasciarci guidare alla beatitudine.

Per una spinta di superbia è caduto il demonio; nell’umiltà Dio —infinitamente Giusto— semina grandezza. Sia lodato.